lunedì 4 novembre 2019

"Le quattro stagioni ed i cinque sensi" - Articolo di Paolo D'Arpini presentato al Concorso di Auser Macerata "L'orto: le 4 stagioni" la cui premiazione si è tenuta il 31 ottobre 2019 ad Appignano


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"Dei cinque elementi, nessuno è predominante; delle quattro stagioni, nessuna dura in eterno; delle giornate, alcune sono lunghe e altre corte; e la luna, prima cresce e poi cala..." (Sun Tzu)

La natura, nel nostro emisfero temperato, segue un andamento ciclico attraverso le 4 stagioni. Ogni aspetto vitale,  e ciò vale soprattutto in agricoltura e in botanica, partecipa ad una processo di continua nascita, crescita, maturazione e morte. Ma non si tratta di una morte definitiva, la vita riprende sempre il suo corso senza interruzione.  Provate ad immaginare gli ingranaggi di un enorme orologio dal più piccolo al più grande continuamente e costantemente collegati e ripetentesi nei vari processi.

Di questo movimento stagionale dobbiamo tener conto anche nella cura dei nostri orticelli urbani, il calendario naturalistico non può essere ignorato e disatteso. La ciclicità della vita arborea può servirci da valido esempio. Prendiamo  perciò   la vegetazione come simbolo della dimensione che unisce il caldo ed il seme (yang)  al freddo, il potere generativo femminile della terra (yin), poiché in tal modo si rigenera incessantemente la sorgente inesauribile di Vita.

Anche il più mastodontico albero nasce da un piccolo seme che contiene in nuce tutte le potenzialità che in seguito saranno espresse dalla pianta adulta, che a sua volta genererà nuovi semi capaci di moltiplicare indefinitamente la Vita. Dalla semina, passando per l'attraversamento ciclico delle quattro stagioni, fino alla morte biologica, l'albero riproduce tutte le fasi che anche l'intero sistema vitale attraversa.

La mia relazione con la vita arborea e vegetale  si è svolta nel più semplice dei modi, attraverso un “dialogo” con le piante ed i continui esperimenti ed osservazioni sulle loro proprietà. Talvolta queste scoperte erboristiche hanno assunto anche la forma di analisi comparate tra gli influssi psichici e fisici che tali proprietà possono avere sui vari organi. Magari partendo dai collegamenti e somiglianze fra le cinque capacità percettive (i sensi) ed i cinque elementi (etere, aria, fuoco, acqua e terra) che contribuiscono alla formazione degli organismi, corpo umano compreso.

Ricordo molto bene, allorché mi avvicinai per la prima volta alla conoscenza delle piante, quelle descrizioni popolari che sancivano direttamente o indirettamente come l’aspetto delle piante e le loro qualità elementali, (percepite per mezzo dei sensi e della psiche) influissero specularmente sulle funzioni del corpo umano. In natura tutto segue uno schema di corrispondenze. Potremmo affermare che ogni forma vivente assume aspetti psicosomatici che corrispondono alle qualità incarnate. Questo fatto era noto sin dalla più remota antichità, all’uomo ed agli animali. Infatti confidando nella innata comprensione essi si curavano sentendo attrazione o repulsione per certe specifiche piante o alimenti.

In varie parti del mondo è rimasta quella  "preveggenza", sia a livello istintuale, come nel caso delle tribù primitive dell’Amazzonia che conoscono tutte le qualità delle loro piante, sia a livello di tradizioni popolari contadine ancestrali. In questo contesto si inserisce la classificazione delle piante e delle loro qualità sulla base del colore, del sapore e della forma, collegati ai cinque sensi.  

Si dice infatti che la forma, il colore ed il sapore delle piante  rimandano all’organo sul quale agiscono. Ed anche i sapori hanno  una forte influenza sulle funzioni fisiologiche. Il sapore acido è astringente quindi in grado di sciogliere i blocchi che ostruiscono la circolazione dei liquidi interni. Il dolce rilassa, armonizza e porta energia. Il piccante mobilizza l’energia, esteriorizza i liquidi ed è considerato ottimo contro le malattie da raffreddamento. Il salato è emolliente, scioglie noduli e masse.

Purtroppo negli ultimi decenni con l’impoverimento dei terreni e delle colture trattati con fertilizzanti chimici, insetticidi, fungicidi ecc, i prodotti vegetali risultano enormemente impoveriti dei loro componenti nutrizionali e questo può portare a delle carenze in coloro che si nutrono di prodotti  industriali. In tal caso si propone la soluzione "omeopatica" ovvero l'integrazione, attraverso l'uso di catalizzatori vegetali  come lei erbe selvatiche cresciute  in luoghi inaccessibili, dove, pur considerando l'inquinamento atmosferico generale, almeno non vi saranno veleni sparsi per l'agricoltura. Le piante selvatiche  contribuiscono all’apporto di fibra  e di sostanze elementali che i vegetali coltivati non contengono più.  

Queste piante selvatiche possono essere reperite anche nei nostri orticelli urbani purché usiamo l'accortezza di non diserbare mai con sostanze chimiche e chiedendo alle amministrazioni comunali di non utilizzare diserbanti di sintesi, od altri inquinanti, in tal modo riportando la natura alla sua normale ciclicità ed espressione vitale. Selvatico e coltivato possono convivere!

Paolo D'Arpini 

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Coordinatore della Rete Bioregionale Italiana e presidente del Circolo Auser Treia.


P.S. Segnalo un testo edito dalla Rete Bioregionale "Selvatico e Coltivato" in cui si raccontano diverse esperienze di coniugazione fra  questi  due sistemi 

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