Abbiamo rivolto alcune domande a Mauro Mariottini, Medico Igienista, Direttore del Servizio Epidemiologia Ambientale (SEA) di ARPA Marche e dell’Osservatorio Epidemiologico Ambientale della Regione Marche (OEA) dal 2001, dopo una lunga esperienza in diverse strutture sanitarie, fra cui il SMSP Asl Ancona e il Laboratorio Igiene e Profilassi della Provincia di Ancona dal 1981.
Un’agenzia come la nostra ha come compito primario il controllo dell’ambiente e la diffusione di informazioni, dati, notizie su di esso. Spesso, però, i cittadini ci chiedono quali implicazioni hanno per la salute i dati che diffondiamo e questo non rientra fra le nostre competenze. Come rispondere a queste istanze?
Il nodo delle competenze, in realtà, è vero solo in parte. La gran parte delle attività delle agenzie per la protezione ambientale sono finalizzate quasi esclusivamente alla protezione della salute umana e animale (vedi le attività di controllo della qualità dell’aria outdoor e indoor, delle emissioni elettromagnetiche e acustiche, delle acque potabili, superficiali e a uso balneare, degli alimenti, della sicurezza impiantistica, dei rifiuti con amianto) o in buona a parte (vedi gestione dei siti contaminati, controllo delle emissioni industriali, delle variazioni climatiche, dell’eutrofizzazione delle acque superficiali, ecc.).
La richiesta da parte dei cittadini di informazioni sullo stato di salute, inoltre, è perfettamente legittima se anche il decreto legislativo del 19 agosto 2005, n. 195 annovera l’informazione sullo “stato della salute e sicurezza umana” tra le “informazioni ambientali” per le quali viene sancito il diritto alla conoscenza da parte dei cittadini e l’obbligo di diffusione da parte dell’ente pubblico.
Da molti anni anche l’Unione Europea prevede la presenza di informazioni sullo stato di salute negli archivi dei dati ambientali condivisi (progetto INSPIRE), mentre da noi, contrariamente a quanto previsto nella precedente proposta (che lasciava alle regioni l’attribuzione e la programmazione delle attività da condividere tra i due sistemi), l’ultima stesura dei LEPTA (livelli essenziali delle prestazioni tecniche ambientali) approvati recentemente dal consiglio SNPA, nella parte che interessa direttamente le attività di integrazione con il SSR, esclude rigidamente tale scelta e limita definitivamente la possibilità delle Agenzie ambientali di svolgere compiutamente attività di epidemiologia ambientale e di valutazione del rischio sanitario.
Ambiente e salute sono in effetti due “mondi” strettamente connessi ma spesso molto distanti. Secondo lei, per favorire una maggiore integrazione ambiente-salute cosa potrebbero fare le agenzie per la protezione dell’ambiente?
Nonostante il riconoscimento internazionale dell’utilità dell’integrazione anche formale tra i due sistemi della tutela dell’ambiente e della salute (vedi le esperienze nazionali in tal senso dell’Olanda e della Francia), in Italia i due “mondi” si stanno progressivamente separando e il legislatore nazionale ha dovuto prenderne atto prevedendo con il Piano Nazionale della Prevenzione prima e poi con l’emanazione del decreto sui LEA (livelli essenziali di assistenza) la necessità di formalizzare momenti di integrazione tra i due sistemi a livello nazionale e locale.
A livello nazionale il Ministero della Salute ha da tempo costituito una task force – ove sono rappresentate anche le istanze che provengono dalle associazioni del territorio – con il compito di affrontare le problematiche ambiente e salute ed i rapporti tra gli enti deputati ad affrontare tali aspetti. A livello regionale gli enti locali hanno recepito il Piano Nazionale della Prevenzione e stanno affrontando in modo eterogeneo la problematica dell’integrazione ambiente e salute.
Sono poche le realtà regionali che hanno già una sufficiente esperienza ed operatività in questo campo e la costruzione di un nuovo sistema, a risorse limitate, si sta dimostrando particolarmente difficoltosa; prova ne sia che la necessità di competenze complesse e multidisciplinari che le agenzie ambientali spesso non sono in grado/non intendono condividere sta spingendo alcune realtà del Servizio Sanitario Regionale (specie nelle regioni più piccole e laddove alcune problematiche complesse dovrebbero essere affrontate a livello sovrazonale o regionale da specifiche strutture integrate tra Agenzia Ambientale e SSR) a costituire nuove piccole ARPA a livello di ASL.
Nelle Marche un tentativo in tal senso è stato fatto con l’istituzione dell’Osservatorio di Epidemiologia Ambientale (DGRM n. 1500/09), in cui sono direttamente coinvolte ARPAM, ARS, diversi servizi regionali e le Aree Vaste dell’ASUR; in questo caso l’ARPA, che per legge regionale è titolare della funzione epidemiologica ambientale, è risultata un ottimo contenitore che ha permesso lo sviluppo delle attività e delle competenze in materia di epidemiologia ambientale e valutazione e comunicazione del rischio, come si può rilevare dall’attività di servizio e dalla produzione scientifica pubblicata sul sito Web ARPAM.
L’esperienza ha dato risultati soddisfacenti dal punto di vista tecnico-operativo e professionale, mentre ha mostrato, dal punto di vista organizzativo, i molti limiti legati alle scarsità di risorse e alla inevitabile diffidenza dei diversi attori che hanno visto l’integrazione come riduzione potenziale della propria autonomia. In alcune realtà regionali tale esperienza potrebbe essere riprodotta prevedendo tuttavia una gestione maggiormente condivisa della struttura e del proprio programma delle attività (es. dipartimento funzionale interistituzionale).
Quando emergono problematiche ambientali in territori specifici da parte dei cittadini e delle loro associazioni, si fa appello a risposte di carattere sanitario che in qualche modo vanno ricondotte alla epidemiologia ambientale, ma questa ha tempi necessariamente lunghi, talvolta opera sulla base di numeri molto ridotti, cosa è possibile fare per migliorare questa situazione?
In epidemiologia ambientale è molto frequente dover affrontare problematiche legate a fonti puntuali di pressione ambientale. In tali casi sono necessarie tecniche di studio definite su “piccola area” che, data la bassa numerosità della popolazione esposta e la dimensione ridotta del rischio ambientale, molto difficilmente raggiungono una potenza statistica soddisfacente con i dati generalmente a disposizione.
In molti casi, spesso su specifica richiesta della popolazione interessata, si sceglie di progettare sistemi di sorveglianza epidemiologica e sanitaria. Un tale sistema è stato avviato recentemente in un’area del territorio marchigiano classificata in passato come area a elevato rischio ambientale (ex-AERCA) dove coesistono sorgenti di pressioni ambientali diversificate. Il progetto prevede di sorvegliare con regolarità i determinanti della qualità ambientale e più eventi sanitari per gli effetti delle esposizioni di lunga durata, ma anche per esposizioni di breve periodo. In previsione dell’istituzione a livello nazionale del “referto epidemiologico comunale” cercheremo inoltre di produrre report epidemiologici periodici anche particolarmente aggiornati su alcuni specifici eventi (mortalità generale), al fine di segnalare la distribuzione ed il trend dei rischi sanitari anche a livello subcomunale.
In caso di eventi che risultassero richiedere una particolare attenzione, dovranno essere programmati approfondimenti e/o indagini analitiche previa conferma della loro indicazione e fattibilità.
In una recente intervista rilasciata ad Arpatnews, il prof. Giorgio Assennato ha evidenziato come sarebbe necessario che i limiti emissivi (normativi o definiti per gli specifici stabilimenti dalle autorizzazioni ambientali) fossero “health-based” e quindi in grado di tutelare la salute della popolazione residente nei quartieri adiacenti agli stabilimenti industriali inquinanti. È una strada percorribile?
Nessuno può negare il conflitto esistente tra la necessità di favorire il progresso tecnologico e lo sviluppo delle attività economiche, e quindi dell’occupazione, e quella di garantire condizioni ambientali ottimali che tutelino la salute al massimo grado.
Bisogna anche ricordare che lo stato socio-economico, legato strettamente alla disponibilità dell’occupazione, è tra i principali determinanti di salute. D’altra parte è altrettanto dimostrato a livello scientifico che molti standard di qualità ambientali non sono sufficientemente tutelanti l’integrità della salute umana.
Un processo virtuoso dovrebbe essere quello di prevedere una progressiva riduzione di alcuni standard di qualità contemporaneamente ad una visione di riduzione d’insieme dei contaminati emessi in ambiente, almeno in alcune realtà locali più critiche (interventi d’area). Attualmente alcuni segnali portano invece a ipotizzare una tendenza a depotenziare anche gli standard vigenti e a sottovalutare i potenziali impatti sulla salute. Questa politica è percepita dalla popolazione che, ora certamente più informata su questa materia, richiede giustamente provvedimenti, anche su specifici impianti, con limiti emissivi “health-based”.
La Valutazione di Impatto Ambientale è da tempo nell’ordinamento del nostro Paese. Ora si inizia a parlare di Valutazione di Impatto Sanitario ed anche di Valutazione Integrata Ambientale e Sanitaria. Vuole chiarirci meglio quali sono i nessi fra questi studi?
Nella regione Marche la legge regionale n. 1/2015 ha previsto l’obbligo della valutazione sanitaria in ogni procedura di VIA o screening VIA. Questa norma, che non è assolutamente in contrasto con la normativa europea e nazionale, ha avuto un “impatto” dirompente sull’organizzazione sanitaria regionale, impreparata sia professionalmente che strutturalmente a tale compito.
Dopo un primo tentativo di passare la competenza all’ARPAM il SSR ha iniziato ad organizzarsi istituendo degli specifici servizi “Ambiente e Salute” all’interno dei dipartimenti di prevenzione di 3 delle 5 aree vaste ASUR della regione. Anche il nostro servizio si è trovato coinvolto nel processo, dovendo comprendere le straordinarie difficoltà del SSR nell’affrontare queste problematiche. In particolare ci siamo dovuti rendere conto che l’attuale assetto normativo e l’organizzazione delle strutture regionali non facilitava i necessari rapporti tra le strutture, rendendo di fatto impossibile produrre un soddisfacente parere sanitario.
Nelle procedure di VIA, ad esempio, la logica di processo dovrebbe prevedere prioritariamente la valutazione ambientale dello Studio d’Impatto Ambientale (SIA) da parte dell’ARPA e successivamente, previo confronto e spiegazione tecnica dello stesso, la valutazione della parte sanitaria. Il giudizio negativo o la richiesta di informazioni sostanziali sulla parte ambientale renderebbe già inutile o procrastinabile la valutazione sanitaria. La norma prevede invece che le valutazioni siano fatte in parallelo ed in tempi limitati per cui il confronto il più delle volte risulta impossibile.
Il SSR non ha attualmente tutte le competenze professionali necessarie per valutare l’affidabilità e la completezza del SIA né per ritenere credibili i dati riferiti dal proponente sulle ricadute spaziali dei contaminanti ambientali e sulle caratteristiche tossicologiche degli stessi. Le valutazioni sanitarie si basano su dati completi e certi sulla popolazione esposta e sulle concentrazioni delle ricadute nello spazio di tutti i contaminanti pericolosi o di altri fattori di rischio.
La valutazione sanitaria poi non può prescindere dallo stato di salute e dalla vulnerabilità della popolazione residente nell’area di potenziale impatto. Per inciso c’è da segnalare che con l’abrogazione da parte del D.Lgs. n. 104/17 del DPCM 27 dicembre 1988 il proponente non è più tenuto a riportare nel SIA gran parte di queste informazioni né ora si sa se il valutatore sia autorizzato a richiederle.
Quindi come si può evitare che diventino strumenti “concorrenti”, piuttosto che modalità per aiutare a prendere buone decisioni?
Il processo valutativo dovrebbe essere progressivo (“in serie”): verificata la compatibilità ambientale sostanziale ed il rispetto di tutti gli standard emissivi e di qualità ambientale, l’accettabilità dei rischi sanitari nella popolazione esposta andrebbe valutata con gli strumenti dell’epidemiologia ambientale e della tossicologia. A questo riguardo, già da tempo abbiamo raccolto alcune proposte operative in uno specifico documento ad integrazione ed aggiornamento delle linee guida VIIAS del SNAPA,
Come agenzie ambientali stiamo vivendo una "fase costituente" del Sistema nazionale per la protezione dell'ambiente. Non molte agenzie hanno una presenza storicamente forte come la vostra nel campo dell'epidemiologia e salute ambientale. Cosa si può fare in questo campo per fare sistema?
Le agenzie ambientali, anche con risorse ed una storia tutto sommato limitata, hanno dimostrato potenzialità rilevanti sia per quanto riguarda le competenze professionali molto diversificate e complete che per la propria mission, molto più definita e orientata alle attività di controllo e prevenzione di quella del SSN, le cui maggiori risorse sono, oggettivamente, destinate alla prevenzione secondaria e alla diagnosi e cura delle malattie.
Nell’interesse generale della collettività queste potenzialità dovrebbero essere messe a disposizione e condivise con il SSR, in un circolo virtuoso che vedrebbe le Agenzie diventare co-protagoniste sulla tutela della salute dai rischi ambientali e offrire in questo senso supporto alle attività di prevenzione proprie del SSR.
Già ora, nelle ARPA stanno incominciando a proporsi - per le attività di epidemiologia e valutazione del rischio - nuove professionalità che possono vantare nel loro curriculum formativo-professionale lo studio di queste materie (es. tecnici della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro). Nelle realtà locali, dove a volte queste attività non sono sufficientemente svolte neppure dal SSR, il SNPA si potrebbe proporre, con il supporto delle strutture più esperte, per accompagnare operatori delle agenzie e del SSR su un percorso formativo e di scambio di esperienze. Soprattutto in tali realtà il SNPA dovrebbe comunque non ostacolare (LEPTA), ma anzi favorire, la nascita di queste competenze nelle agenzie e favorire/promuovere l’istituzione di strutture e momenti di integrazione tra i due sistemi. Una scelta di questo tipo che va verso le richieste della collettività sarebbe ambiziosa e lungimirante e potrebbe essere l’unico modo per arginare la progressiva e dannosa frattura tra i due sistemi. La partecipazione fattiva delle agenzie ambientali alla costituzione di un sistema/rete ambiente e salute rappresenta un'opportunità irrinunciabile sia per la qualità delle prestazioni rese dalle agenzie stesse e dal SSN, che un indubbio incremento del prestigio sociale e della credibilità del SNPA.
(Fonte: Arpat)
Il nodo delle competenze, in realtà, è vero solo in parte. La gran parte delle attività delle agenzie per la protezione ambientale sono finalizzate quasi esclusivamente alla protezione della salute umana e animale (vedi le attività di controllo della qualità dell’aria outdoor e indoor, delle emissioni elettromagnetiche e acustiche, delle acque potabili, superficiali e a uso balneare, degli alimenti, della sicurezza impiantistica, dei rifiuti con amianto) o in buona a parte (vedi gestione dei siti contaminati, controllo delle emissioni industriali, delle variazioni climatiche, dell’eutrofizzazione delle acque superficiali, ecc.).
La richiesta da parte dei cittadini di informazioni sullo stato di salute, inoltre, è perfettamente legittima se anche il decreto legislativo del 19 agosto 2005, n. 195 annovera l’informazione sullo “stato della salute e sicurezza umana” tra le “informazioni ambientali” per le quali viene sancito il diritto alla conoscenza da parte dei cittadini e l’obbligo di diffusione da parte dell’ente pubblico.
Da molti anni anche l’Unione Europea prevede la presenza di informazioni sullo stato di salute negli archivi dei dati ambientali condivisi (progetto INSPIRE), mentre da noi, contrariamente a quanto previsto nella precedente proposta (che lasciava alle regioni l’attribuzione e la programmazione delle attività da condividere tra i due sistemi), l’ultima stesura dei LEPTA (livelli essenziali delle prestazioni tecniche ambientali) approvati recentemente dal consiglio SNPA, nella parte che interessa direttamente le attività di integrazione con il SSR, esclude rigidamente tale scelta e limita definitivamente la possibilità delle Agenzie ambientali di svolgere compiutamente attività di epidemiologia ambientale e di valutazione del rischio sanitario.
Ambiente e salute sono in effetti due “mondi” strettamente connessi ma spesso molto distanti. Secondo lei, per favorire una maggiore integrazione ambiente-salute cosa potrebbero fare le agenzie per la protezione dell’ambiente?
Nonostante il riconoscimento internazionale dell’utilità dell’integrazione anche formale tra i due sistemi della tutela dell’ambiente e della salute (vedi le esperienze nazionali in tal senso dell’Olanda e della Francia), in Italia i due “mondi” si stanno progressivamente separando e il legislatore nazionale ha dovuto prenderne atto prevedendo con il Piano Nazionale della Prevenzione prima e poi con l’emanazione del decreto sui LEA (livelli essenziali di assistenza) la necessità di formalizzare momenti di integrazione tra i due sistemi a livello nazionale e locale.
A livello nazionale il Ministero della Salute ha da tempo costituito una task force – ove sono rappresentate anche le istanze che provengono dalle associazioni del territorio – con il compito di affrontare le problematiche ambiente e salute ed i rapporti tra gli enti deputati ad affrontare tali aspetti. A livello regionale gli enti locali hanno recepito il Piano Nazionale della Prevenzione e stanno affrontando in modo eterogeneo la problematica dell’integrazione ambiente e salute.
Sono poche le realtà regionali che hanno già una sufficiente esperienza ed operatività in questo campo e la costruzione di un nuovo sistema, a risorse limitate, si sta dimostrando particolarmente difficoltosa; prova ne sia che la necessità di competenze complesse e multidisciplinari che le agenzie ambientali spesso non sono in grado/non intendono condividere sta spingendo alcune realtà del Servizio Sanitario Regionale (specie nelle regioni più piccole e laddove alcune problematiche complesse dovrebbero essere affrontate a livello sovrazonale o regionale da specifiche strutture integrate tra Agenzia Ambientale e SSR) a costituire nuove piccole ARPA a livello di ASL.
Nelle Marche un tentativo in tal senso è stato fatto con l’istituzione dell’Osservatorio di Epidemiologia Ambientale (DGRM n. 1500/09), in cui sono direttamente coinvolte ARPAM, ARS, diversi servizi regionali e le Aree Vaste dell’ASUR; in questo caso l’ARPA, che per legge regionale è titolare della funzione epidemiologica ambientale, è risultata un ottimo contenitore che ha permesso lo sviluppo delle attività e delle competenze in materia di epidemiologia ambientale e valutazione e comunicazione del rischio, come si può rilevare dall’attività di servizio e dalla produzione scientifica pubblicata sul sito Web ARPAM.
L’esperienza ha dato risultati soddisfacenti dal punto di vista tecnico-operativo e professionale, mentre ha mostrato, dal punto di vista organizzativo, i molti limiti legati alle scarsità di risorse e alla inevitabile diffidenza dei diversi attori che hanno visto l’integrazione come riduzione potenziale della propria autonomia. In alcune realtà regionali tale esperienza potrebbe essere riprodotta prevedendo tuttavia una gestione maggiormente condivisa della struttura e del proprio programma delle attività (es. dipartimento funzionale interistituzionale).
Quando emergono problematiche ambientali in territori specifici da parte dei cittadini e delle loro associazioni, si fa appello a risposte di carattere sanitario che in qualche modo vanno ricondotte alla epidemiologia ambientale, ma questa ha tempi necessariamente lunghi, talvolta opera sulla base di numeri molto ridotti, cosa è possibile fare per migliorare questa situazione?
In epidemiologia ambientale è molto frequente dover affrontare problematiche legate a fonti puntuali di pressione ambientale. In tali casi sono necessarie tecniche di studio definite su “piccola area” che, data la bassa numerosità della popolazione esposta e la dimensione ridotta del rischio ambientale, molto difficilmente raggiungono una potenza statistica soddisfacente con i dati generalmente a disposizione.
In molti casi, spesso su specifica richiesta della popolazione interessata, si sceglie di progettare sistemi di sorveglianza epidemiologica e sanitaria. Un tale sistema è stato avviato recentemente in un’area del territorio marchigiano classificata in passato come area a elevato rischio ambientale (ex-AERCA) dove coesistono sorgenti di pressioni ambientali diversificate. Il progetto prevede di sorvegliare con regolarità i determinanti della qualità ambientale e più eventi sanitari per gli effetti delle esposizioni di lunga durata, ma anche per esposizioni di breve periodo. In previsione dell’istituzione a livello nazionale del “referto epidemiologico comunale” cercheremo inoltre di produrre report epidemiologici periodici anche particolarmente aggiornati su alcuni specifici eventi (mortalità generale), al fine di segnalare la distribuzione ed il trend dei rischi sanitari anche a livello subcomunale.
In caso di eventi che risultassero richiedere una particolare attenzione, dovranno essere programmati approfondimenti e/o indagini analitiche previa conferma della loro indicazione e fattibilità.
In una recente intervista rilasciata ad Arpatnews, il prof. Giorgio Assennato ha evidenziato come sarebbe necessario che i limiti emissivi (normativi o definiti per gli specifici stabilimenti dalle autorizzazioni ambientali) fossero “health-based” e quindi in grado di tutelare la salute della popolazione residente nei quartieri adiacenti agli stabilimenti industriali inquinanti. È una strada percorribile?
Nessuno può negare il conflitto esistente tra la necessità di favorire il progresso tecnologico e lo sviluppo delle attività economiche, e quindi dell’occupazione, e quella di garantire condizioni ambientali ottimali che tutelino la salute al massimo grado.
Bisogna anche ricordare che lo stato socio-economico, legato strettamente alla disponibilità dell’occupazione, è tra i principali determinanti di salute. D’altra parte è altrettanto dimostrato a livello scientifico che molti standard di qualità ambientali non sono sufficientemente tutelanti l’integrità della salute umana.
Un processo virtuoso dovrebbe essere quello di prevedere una progressiva riduzione di alcuni standard di qualità contemporaneamente ad una visione di riduzione d’insieme dei contaminati emessi in ambiente, almeno in alcune realtà locali più critiche (interventi d’area). Attualmente alcuni segnali portano invece a ipotizzare una tendenza a depotenziare anche gli standard vigenti e a sottovalutare i potenziali impatti sulla salute. Questa politica è percepita dalla popolazione che, ora certamente più informata su questa materia, richiede giustamente provvedimenti, anche su specifici impianti, con limiti emissivi “health-based”.
La Valutazione di Impatto Ambientale è da tempo nell’ordinamento del nostro Paese. Ora si inizia a parlare di Valutazione di Impatto Sanitario ed anche di Valutazione Integrata Ambientale e Sanitaria. Vuole chiarirci meglio quali sono i nessi fra questi studi?
Nella regione Marche la legge regionale n. 1/2015 ha previsto l’obbligo della valutazione sanitaria in ogni procedura di VIA o screening VIA. Questa norma, che non è assolutamente in contrasto con la normativa europea e nazionale, ha avuto un “impatto” dirompente sull’organizzazione sanitaria regionale, impreparata sia professionalmente che strutturalmente a tale compito.
Dopo un primo tentativo di passare la competenza all’ARPAM il SSR ha iniziato ad organizzarsi istituendo degli specifici servizi “Ambiente e Salute” all’interno dei dipartimenti di prevenzione di 3 delle 5 aree vaste ASUR della regione. Anche il nostro servizio si è trovato coinvolto nel processo, dovendo comprendere le straordinarie difficoltà del SSR nell’affrontare queste problematiche. In particolare ci siamo dovuti rendere conto che l’attuale assetto normativo e l’organizzazione delle strutture regionali non facilitava i necessari rapporti tra le strutture, rendendo di fatto impossibile produrre un soddisfacente parere sanitario.
Nelle procedure di VIA, ad esempio, la logica di processo dovrebbe prevedere prioritariamente la valutazione ambientale dello Studio d’Impatto Ambientale (SIA) da parte dell’ARPA e successivamente, previo confronto e spiegazione tecnica dello stesso, la valutazione della parte sanitaria. Il giudizio negativo o la richiesta di informazioni sostanziali sulla parte ambientale renderebbe già inutile o procrastinabile la valutazione sanitaria. La norma prevede invece che le valutazioni siano fatte in parallelo ed in tempi limitati per cui il confronto il più delle volte risulta impossibile.
Il SSR non ha attualmente tutte le competenze professionali necessarie per valutare l’affidabilità e la completezza del SIA né per ritenere credibili i dati riferiti dal proponente sulle ricadute spaziali dei contaminanti ambientali e sulle caratteristiche tossicologiche degli stessi. Le valutazioni sanitarie si basano su dati completi e certi sulla popolazione esposta e sulle concentrazioni delle ricadute nello spazio di tutti i contaminanti pericolosi o di altri fattori di rischio.
La valutazione sanitaria poi non può prescindere dallo stato di salute e dalla vulnerabilità della popolazione residente nell’area di potenziale impatto. Per inciso c’è da segnalare che con l’abrogazione da parte del D.Lgs. n. 104/17 del DPCM 27 dicembre 1988 il proponente non è più tenuto a riportare nel SIA gran parte di queste informazioni né ora si sa se il valutatore sia autorizzato a richiederle.
Quindi come si può evitare che diventino strumenti “concorrenti”, piuttosto che modalità per aiutare a prendere buone decisioni?
Il processo valutativo dovrebbe essere progressivo (“in serie”): verificata la compatibilità ambientale sostanziale ed il rispetto di tutti gli standard emissivi e di qualità ambientale, l’accettabilità dei rischi sanitari nella popolazione esposta andrebbe valutata con gli strumenti dell’epidemiologia ambientale e della tossicologia. A questo riguardo, già da tempo abbiamo raccolto alcune proposte operative in uno specifico documento ad integrazione ed aggiornamento delle linee guida VIIAS del SNAPA,
Come agenzie ambientali stiamo vivendo una "fase costituente" del Sistema nazionale per la protezione dell'ambiente. Non molte agenzie hanno una presenza storicamente forte come la vostra nel campo dell'epidemiologia e salute ambientale. Cosa si può fare in questo campo per fare sistema?
Le agenzie ambientali, anche con risorse ed una storia tutto sommato limitata, hanno dimostrato potenzialità rilevanti sia per quanto riguarda le competenze professionali molto diversificate e complete che per la propria mission, molto più definita e orientata alle attività di controllo e prevenzione di quella del SSN, le cui maggiori risorse sono, oggettivamente, destinate alla prevenzione secondaria e alla diagnosi e cura delle malattie.
Nell’interesse generale della collettività queste potenzialità dovrebbero essere messe a disposizione e condivise con il SSR, in un circolo virtuoso che vedrebbe le Agenzie diventare co-protagoniste sulla tutela della salute dai rischi ambientali e offrire in questo senso supporto alle attività di prevenzione proprie del SSR.
Già ora, nelle ARPA stanno incominciando a proporsi - per le attività di epidemiologia e valutazione del rischio - nuove professionalità che possono vantare nel loro curriculum formativo-professionale lo studio di queste materie (es. tecnici della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro). Nelle realtà locali, dove a volte queste attività non sono sufficientemente svolte neppure dal SSR, il SNPA si potrebbe proporre, con il supporto delle strutture più esperte, per accompagnare operatori delle agenzie e del SSR su un percorso formativo e di scambio di esperienze. Soprattutto in tali realtà il SNPA dovrebbe comunque non ostacolare (LEPTA), ma anzi favorire, la nascita di queste competenze nelle agenzie e favorire/promuovere l’istituzione di strutture e momenti di integrazione tra i due sistemi. Una scelta di questo tipo che va verso le richieste della collettività sarebbe ambiziosa e lungimirante e potrebbe essere l’unico modo per arginare la progressiva e dannosa frattura tra i due sistemi. La partecipazione fattiva delle agenzie ambientali alla costituzione di un sistema/rete ambiente e salute rappresenta un'opportunità irrinunciabile sia per la qualità delle prestazioni rese dalle agenzie stesse e dal SSN, che un indubbio incremento del prestigio sociale e della credibilità del SNPA.
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