“Saper invecchiare è il capolavoro della sapienza, e uno dei più difficili capitoli della grande arte di vivere.” (Henri Amiel filosofo)
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Un ulteriore vantaggio evolutivo ha contraddistinto lo sviluppo e l’espansione di Homo sapiens, che ha comportato non solo un vantaggio individuale (una più lunga esistenza) ma soprattutto un vantaggio culturale, comportamentale e sociale per tutta la tribù e la specie. In natura gli organismi pluricellulari più evoluti hanno un periodo di vita pari a quello delle loro gonadi o comunque vivono fino a quando sono un grado di riprodursi sessualmente (riproduzione gamica).
Per esempio nell’agave, che può vivere fino a 50 anni La fioritura avviene una sola volta negli ultimi 6 mesi di vita della pianta e lungo uno stelo legnoso che si genera dal fusto al centro della rosetta e che produce nella metà superiore anche diverse migliaia di fiori. Lo stelo raggiunge in un periodo di 2-4 mesi un’altezza variabile da meno di 2 m (A. parviflora) agli 11 metri (A. americana) ed un diametro fino ai 25 cm. L’agave, però, si riproduce anche vegetativamente (riproduzione agamica, non sessuale) attraverso la formazione di polloni originanti da rizomi, che emergono non molto distanti dalla pianta madre.
L’uomo, invece, sopravvive alle proprie capacità riproduttive, cioè alla funzionalità sia delle ovaie che dei testicoli per alcuni decenni. Le donne, feconde per circa 40 anni (dai 11-13 (menarca) ai circa 50 anni (menopausa)) vivono ancora mediamente più di altri 30 anni e la stessa cosa vale per l’uomo. Infatti, anche se i testicoli continuano a produrre spermatozoi fino ad età avanzata, il maschio ha comunque difficoltà riproduttive sia per il calò della produzione DHEA (deidroepiandrosterone) e di conseguenza di testosterone, sia per la conseguente ridotta libido, sia per la sempre più ridotta funzionalità del pene, sia per la quantità degli spermatozoi e la loro vitalità, fatti che riducono la possibilità della fecondazione, sia per i danni genetici che il tempo apporta agli spermatozoi, danni da cui può dipendere una scarsa vitalità di un eventuale embrione, che spesso viene precocemente abortito). Insomma il genere homo vive circa il doppio delle proprie gonadi. E ciò ha rappresentato un ulteriore enorme vantaggio evolutivo.
Un “cucciolo” umano alla nascita è inerme ed ha bisogno di molti anni per raggiungere l’autonomia dai genitori sia per il sostentamento che per l’autoprotezione. Infatti le mamme avevano estrema difficoltà a procurare cibo e protezione per se stesse e i loro piccoli: accudire ai figli diventava un compito di ogni familiare e di tutta la tribù. Tale comportamento, apparentemente negativo, è stato, invece, fortemente propulsivo da un punto di vista evolutivo: il suo significato sociale è evidente: l’evoluzione ha selezionato persone capaci di tessere forti legami familiari e sociali, un forte sentimento di appartenenza, di comunità, di solidarietà.
A ciò va ad aggiungersi un ulteriore vantaggio selettivo, quindi evolutivo, vantaggio derivante dal fatto che homo sapiens vive circa il doppio di anni di quelli delle proprie gonadi. Infatti, come già descritto, il genere umano si evolve da circa 70mila anni, cioè dal momento della “rivoluzione cognitiva”, solo culturalmente: infatti se per passare dalla invenzione della ruota ai computer sono trascorse poche decine di migliaia di anni (circa 500 generazioni di evoluzione culturale) mentre la scimmia ha “impiegato” 2,5 milioni di anni (circa 100mila generazioni di evoluzione biologica) per diventare Homo sapiens.
Proprio per l’importanza dell’evoluzione culturale che il carattere genetico della sopravvivenza alle proprie gonadi è stato selezionato e fissato nel genoma umano. Infatti, l’uomo, dopo aver lasciato ai propri discendenti l’eredità “chimica” del proprio DNA attraverso la riproduzione sessuale è stato “chiamato” dall’evoluzione culturale a lasciare ai propri figli e nipoti anche la più preziosa eredità esperenziale e sapienziale durante i 30-40 anni di vita successivi all’inaridimento delle gonadi ma estremamente fecondi nell’accumulo di saggezza, esperienza e cultura. Il “vecchio” saggio, pertanto, ha rappresentato un doppio vantaggio per le generazioni successive poiché ha arricchito la discendenza, e, pertanto, la società umana prima con caratteri genetici selezionati per dare maggior fitness biologica e successivamente con caratteri culturali che molto più velocemente dei primi facevano crescere la fitness socioculturale.
Lo scrittore Marc Levy questo riconosce alla funzione del vecchio: “Le rughe della vecchiaia formano le più belle scritture della vita, quelle sulle quali i bambini imparano a leggere i loro sogni”, mentre un proverbio africano recita: ”Un vecchio che muore è una biblioteca che brucia.”
Antonello Senni
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